“Gli inceneritori pilastri dell’economia circolare”

« Pensare ad un’economia circolare a rifiuto zero è illusorio, un residuo da smaltire resterà sempre e servono gli impianti di termovalorizzazione per farlo » , dice Massimo Pasquini, amministratore delegato della Lucart, uno dei giganti italiani della produzione di carta tissue per rotoloni, asciugoni, tovaglioli e fazzolettini. Il capo dell’azienda del cartario lucchese è uno che di economia circolare se ne intende. Ne è stato precursore. Lucart ricicla la carta. E da oltre dieci anni, tra le diverse iniziative di ecosostenibilità, ha avviato quella di riciclare i cartoni in tetrapack del latte, da cui si riesce a ricavare plastica per fare penne e alluminio.

« Bisognerebbe tagliare l’Iva sui prodotti derivati dal riciclo e imporre alle pubbliche amministrazioni di acquistarli, perché produrre questi oggetti ha costi maggiori, e vanno resi concorrenziali sul mercato per favorire l’economia circolare», dice Pasquini. «Ma, lo ripeto, un rifiuto rimarrà sempre e va smaltito sul posto, altrimenti l’economia circolare resta una chiacchiera. Anche perché all’estero, nei Paesi dell’Europa Occidentale, permettono che certi nostri scarti siano sparsi nei terreni, in Italia invece altolà » , aggiunge l’ad di Lucart che oggi investe soprattutto oltre confine ( nei Paesi Bassi una delle ultime acquisizioni). E perché il gruppo guardi oggi oltre le frontiere dell’Italia, è anche per i minori lacci e lacciuli burocratici.

« È la stessa normativa europea sull’economia circolare a prevedere come atto conclusivo, ovvero quello che chiude il cerchio, la termovalorizzazione fatta nel luogo dove si produce il residuo finale » , dice un altro industriale lucchese. « Senza incenerimento l’economia circolare salta, gli impianti devono essere sicuri ma non si può prescindere dal realizzarli, altrimenti si viola la legge». In Lucchesia soffrono lo smacco ultradecennale di progetti di termovalorizzazione d’avanguardia studiati, presentati, dibattuti, poi miseramente naufragati. E ora parecchie aziende sembrano all’appello finale, prima della resa, della fuga e delle azioni legali contro un Piano regionale dei rifiuti che si rivelasse carente.

« Alla fine i problemi dello smaltimento dei rifiuti sono arrivati a colpire anche le famiglie: niente più ritiro degli ingombranti per un mese a Firenze, Prato e Pistoia. Che aspetto avranno le nostre città tra qualche settimana? » , è l’allarme di Confindustria Toscana Nord, che raccoglie gli imprenditori lucchesi, pistoiesi e pratesi. «L’emergenza rifiuti riguarda l’intero territorio regionale, sia cittadini che imprese», dicono gli industriali. « Come associazione di imprese l’interesse è rivolto ai rifiuti speciali, vale a dire ai 10,5 milioni di tonnellate annue di scarti delle imprese manifatturiere toscane, fra cui cartario, tessile, lapideo, edile, metalmeccanico, una mole considerevole il cui smaltimento è sempre più difficile, lento e costoso a causa della carenza di impianti sul territorio regionale. Le imprese sono oggi costrette a ricorrere a società che portano i rifiuti fuori regione o anche all’estero. Un processo complicato e oneroso, che allunga i tempi del servizio e costringe le imprese a stoccare i rifiuti nei propri magazzini e cortili. Ai rifiuti speciali si aggiungono i 2,5 milioni di tonnellate annue di rifiuti urbani, in carico ai gestori individuati dai diversi Ato regionali. Nella regione sono presenti molti impianti di stoccaggio provvisorio e di pretrattamento, ma sono carenti gli impianti volti al recupero di materia ed energia e allo smaltimento: quelli che Confindustria Toscana Nord chiede da anni e che devono essere necessariamente inseriti nella pianificazione regionale in corso. Oggi accade invece che i termovalorizzatori esistenti chiudano e non ne vengano realizzati di nuovi, mentre si registra pure l’insufficienza delle discariche».

Close Logout Cerca Facebook Instagram You Tube Twitter Linkedin