Non restiamo schiacciati tra nord e sud

di Afredo De Girolamo*

Caro direttore,

il dibattito sulla «autonomia regionale» rischia di essere il vero punto forte dell’agenda di Governo. Che l’art. 116 della Costituzione rappresentasse una specie di «bomba» nell’ordinamento statale era noto, ed ora che Veneto, Lombardia e Emilia Romagna lo vogliono applicare, i nodi vengono al pettine.

L’eventuale spostamento di competenze alle Regioni porterebbe con sé una ridefinizione dei flussi fiscali, con le tre ricche regioni del Nord che tratterrebbero per loro la quasi totalità delle entrate fiscali. Un contratto che parla di «maggiore autonomia alle Regioni trasferendo maggiori funzioni amministrative». La Lega punta ad approvare i tre disegni di legge per l’Autonomia di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna senza emendamenti, nel rispetto di accordi già definiti. Nel Veneto le materie che ancora «ballano» sono strategiche, come la gestione delle infrastrutture e le concessioni — elettriche e portuali — i beni culturali e l’ambiente. In Lombardia invece si punta su ticket sanitari, valutazioni d’impatto ambientale e bonifiche, infrastrutture e regionalizzazione delle soprintendenze. Uno dei capitoli più corposi dell’accordo riguarda la scuola. L’obiettivo della Lombardia è di ricevere da Roma le stesse somme che lo Stato spende nella Regione per le funzioni trasferite o assegnate, avendo come parametro di riferimento iniziale la spesa storica per arrivare nel giro di cinque anni a definire e applicare i costi standard. Quindici competenze, con risorse certe e con la «presunzione di saperle gestire meglio». È questa la richiesta avanzata dall’Emilia Romagna che punta a tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, ricerca, governo del territorio, protezione civile, ambiente, salute, sport, giustizia di pace e cultura. Gli accordi puntano, quindi, a spostare alle Regioni i più importanti servizi pubblici locali. Come si legge nell’accordo Veneto, la Regione potrà, con proprie leggi e regolamenti, disciplinare l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni amministrative ad essa attribuite, anche attraverso propri enti e agenzie strumentali. Servizio idrico integrato, gestione dei rifiuti, piani di bonifica e piani di tutela delle acque, servizi che verranno disciplinati esclusivamente a livello regionale. Gli effetti sulle altre Regioni potrebbero essere rilevanti, e non solo sulle Regioni del Sud. La Toscana potrebbe ritrovarsi da un lato con meno risorse, dall’altro coinvolta in riforme nazionali sulla gestione dell’acqua e dei rifiuti, senza potersi ritagliare una sua autonomia organizzativa e gestionale. Il ddl sull’acqua pubblica infatti se approvato si applicherebbe alle Regioni prive di autonomie, mentre le tre Regioni autonome potrebbero organizzarsi diversamente. La Toscana ha annunciato giustamente subito dopo l’insediamento del Governo di voler chiedere la propria autonomia regionale, una sorta di regionalismo rafforzato e differenziato, così come poi fecero Piemonte, Liguria, Umbria e Marche. Ma per adesso le ipotesi di accordo sono solo tre. La questione, dunque, è di primaria importanza, e richiede anche un sostegno da parte delle categorie economiche e sociali. Occorre che la Toscana agisca unita, e rapidamente, se non vuole finire schiacciata tra Nord e Sud.

*Presidente Confservizi Cispel Toscana

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