Mairaghi (Sei Toscana): quelle piante ci salveranno dai rifiuti tossici

All’apparenza sono semplici pioppi e salici, in realtà “bevono” i residui tossici delle discariche, li scompongono, li fanno sparire. E dove c’era una terra inquinata e desolata, in men che non si dica, nasce un boschetto.La scoperta, probabilmente destinata a rivoluzionare la catena del riciclo dei rifiuti, è interamente Made in Tuscany, ed è il frutto di una collaborazione triangolare. Quella fra Sei Toscana, gestore dei servizi di igiene urbana nell’Ato Toscana sud, che la commercializzerà; Csai (Centro servizi ambiente Impianti) che ha messo a disposizione l’impianto di smaltimento Podere Rota a Terranuova Bracciolini (Ar) per la sperimentazione; e Pnat, lo spinoff dell’università di Firenze creato dal neurobiologo Stefano Mancuso. Sua, neanche a dirlo, è l’idea.Mancuso, studioso ormai di fama mondiale, osserva da anni il comportamento delle piante con esiti sorprendenti. Ha scoperto che gli organismi vegetali pensano, ascoltano, sentono e che, in certi casi, hanno gusti alimentari discutibili ma utili all’ecosistema. “Ho conosciuto Mancuso cinque anni fa – racconta Marco Mairaghi, da poco più di un anno ceo di Sei Toscana – appena arrivato alla guida di Sei l’ho invitato e gli ho chiesto di espormi alcune delle sue idee”.Il “campionario” di Mancuso lascia a bocca aperta. Con noncuranza gli espone la sua idea di trasformare interi banchi di alghe in un principio attivo che le principali maison di profumeria pagano fior di quattrini. Gli parla di un impianto di areazione interamente ottenuto con piante, che riesce a annullare perfino l’odore acre delle pescherie. E poi di certe particolari varietà di pioppi e salici che si nutrono di “percolato”, ovvero del liquido più tossico prodotto dalle discariche.I consumatori non lo sanno, ma in bolletta si paga profumatamente il suo smaltimento. Tanto per avere un’idea, una discarica ne produce un centinaio di tonnellate l’anno e se, per ipotesi, l’impianto chiudesse, si continuerebbe a produrne per cinquant’anni. Mairaghi non può farsi scappare un’opportunità del genere. Sul territorio di Sei stanno quasi tutti gli impianti di smaltimento toscano: l’utilizzo di questo sistema potrebbe trasformare il mondo.In men che non si dica viene stipulato un contratto con Mancuso e comincia la sperimentazione a Terranuova. Bastano poche migliaia di euro: si comprano due grandi cisterne e tanti vasi di un metro cubo per ospitare le piante. Gli alberelli vengono annaffiati con una particolare diluizione di percolato e in sei mesi crescono di ben cinque metri. Si fanno ricerche nei vasi, nel tronco, nei rami, ma tracce di percolato non ce ne sono. Scomposto e sparito.“Al di là di questa innovazione, progettiamo di sviluppare molti altri progetti”, prosegue Mairaghi. A giugno, con il nuovo piano industriale, Sei Toscana progetta di dare vita ad un Centro di ricerca & sviluppo nel settore dei servizi a Siena, dover concentrare le migliori competenze italiane in campo ambientale, e non solo. Direttore scientifico sarà Stefano Mancuso, e coordinatore Andrea Gumina, esperto di innovazione e responsabile del progetto Smart city per il Mise e il G8. In Italia nessuna multiutility ha una struttura del genere e ad oggi hanno dato la loro adesione il gruppo Acea, Water Right Foundation di Firenze, e altri colossi del settore dei servizi.Ma non finisce qui, perché con il nuovo piano industriale di giugno l’intento di Mairaghi è ancora più ambizioso. Trasformare Sei Toscana in promoter di sviluppo, su un vasto territorio che in pochi anni ha visto sommarsi la crisi di importanti poli produttivi e di banche territoriali come Mps e banca Etruria. “La mia idea è quella di trasformare Sei in quella che il mondo anglosassone chiamano una benefit corporation, ovvero un’impresa che punta a massimizzare l’impatto sociale della propria attività”. Per attuare questo progetto c’è anche, in nuce, una partnership economica di altissimo profilo: quella con Banca Intesa San Paolo.

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