«Termovalorizzatori, la prima battaglia è contro le ideologie»

La mancanza in Italia di impianti per chiudere il ciclo dei rifiuti crea le condizioni fertili per la criminalità organizzata. In molte regioni gli innumerevoli sequestri da parte delle forze dell’ordine, in capannoni adibiti a stoccaggio, di scarti di rifiuti, come i continui incendi in aree dismesse, ne sono la testimonianza quotidiana. Per questa ragione il reportage sui rifiuti del Corriere della Sera del 7 ottobre, a firma Antonio Castaldo e Milena Gabanelli, è un raggio di razionalità e serietà in un mondo di deliri ideologici. Nel nostro Paese gli impianti non si fanno perché «alcuni» hanno paura e perché la politica non è in grado di tranquillizzare l’opinione pubblica, come chiarisce bene l’articolo: i termovalorizzatori (questo è il nome corretto) di nuova generazione non inquinano, o se vogliamo essere precisi producono sostanze nocive in quantità praticamente nulle, assolutamente non pericolose alla salute umana. Concetti facili da dimostrare, molto complicati da spiegare ai cittadini, a fronte di una lettura dominante e trasversale che si compone di svariati preconcetti, basati su fondamenta completamente errati. Se a destra abbiamo la visione che pensa sia utile un ritorno al carbone, a sinistra non mancano le ambivalenze sulla gestione dei rifiuti, zone grigie in cui predomina il «vorrei, scusate, ma non posso». E a fronte di prendersi una responsabilità si preferisce sottostare all’assioma «sono contro i termovalorizzatori perché mi fanno perdere consenso». Si arriva persino ad imputare colpe a chi non le ha, ovvero l’Unione Europea. Travisando, con una forzatura, il messaggio che ci è stato dato sugli obiettivi per il 2030: l’Europa non ha mai chiesto la chiusura dei termovalirizzatori entro quella dead line. La Commissione europea ha solo scritto in una sensatissima «comunicazione» quella che ritiene la strategia migliore da applicare per definire una economia circolare. Il testo è un invito a chi ha troppo incenerimento (paesi in over capacity, non certamente l’Italia) a ridurre la produzione e invece «sollecita» chi ne ha poco (come noi) a non compromettere il raggiungimento del 65% di riciclo al 2035, faro della nuova direttiva. Discorso semplice. Oggi, l’Italia ha il 15/18% di incenerimento degli scarti per essere compatibili con il dato del 65% di riciclaggio bisognerebbe giungere al 25% di incenerimento (con il 10% in discarica) o il 35% (e discarica zero). Alcune regioni hanno zero incenerimento (vedi la Sicilia) o troppo poco (casi del Lazio o della Toscana). Quindi, per rispondere positivamente alla Ue, la soluzione è passare il prima possibile agli impianti, nel numero necessario a non portare i rifiuti in Danimarca, Olanda e Germania. Continuare poi ad opporsi ai termovalorizzatori dicendo che è una tecnologia del secolo scorso, ormai antiquata, è un’altro grave errore. Copenaghen sta inaugurando un nuovo modernissimo impianto, Vienna e Parigi lo hanno fatto pochi anni fa. Dire che il termovalorizzatore è una tecnologia obsoleta, equivale a dire che il treno o l’aereo sono mezzi già superati. Ovviamente, le tecnologie evolvono, e così sarà anche per la qualità degli impianti, e qui vi invito davvero a leggere il chiaro articolo pubblicato dal Corriere . E faccio mio il senso delle conclusioni. Servono nel nostro Paese alcuni impianti moderni, non uno per provincia come diceva Salvini ma in base alla sostenibilità. Un Paese serio li costruirebbe rapidamente mettendosi in sicurezza ambientale e traendo energia.

di Alfredo De Girolamo* *Presidente Confservizi - Cispel Toscana

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